Fondo salva imprese, con 74 milioni l’ingresso dello Stato in 10 aziende
Il bilancio dello strumento gestito da Invitalia: 3.400 i lavoratori salvaguardati. Restano a disposizione 230 milioni pubblici da affiancare a risorse private
(Il Sole 24 Ore, articolo di Carmine Fotina, 07 gennaio 2023)
Dieci operazioni concluse con un impegno di 74,2 milioni di risorse pubbliche a fronte di 85,4 milioni di investimenti privati attivati. Una platea interessata di 3.400 lavoratori e in tutte le operazioni il presidio del socio statale con diritti di veto in assemblea su occupazione, investimenti, distribuzione degli utili e con la presidenza del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale.
Il primo vero bilancio del «Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività di impresa», gestito da Invitalia, società controllata dal ministero dell’Economia, compare in un documento inviato alla commissione Industria del Senato dove il 21 dicembre è stato incardinato il decreto con misure «a tutela dell’interesse nazionale nei settori produttivi strategici». Anche noto come decreto salva-Priolo, il provvedimento contiene una novità rilevante in materia di golden power, cioè sui poteri speciali dello Stato nei confronti delle aziende strategiche. Le aziende in qualche modo penalizzate da un possibile veto a un’operazione di investitori stranieri, o da condizioni molto stringenti del governo, su richiesta e dopo valutazione del ministero delle Imprese e del made in Italy, potranno accedere in via prioritaria al Fondo di salvaguardia, oltre che al Patrimonio destinato della Cdp. Una carta da giocare, ad esempio, per consentire più facilmente un eventuale ingresso di Invitalia nella Isab di Priolo, insieme a un investitore straniero.
Con questa novità normativa secondo alcuni osservatori il governo in realtà rafforza la sua presa interventista sull’economia reale. Paolo De Angelis, responsabile del Fondo di salvaguardia, la vede in modo diverso: «Il nostro strumento è meno aggressivo e ben visto dagli operatori esteri. Si tratta di uno strumento che può risultare utile alle imprese buone per crescere, integrare e rafforzare la filiera acquisendo aziende in difficoltà e favorendo la ricollocazione produttiva, il reshoring».
Golden power a parte, di sicuro
Invitalia lavora al dossier Pernigotti, per replicare insieme al fondo Jp Morgan l’operazione Walcor, storico produttore cremonese di cioccolato.
Invitalia è entrata in Walcor con 10 milioni nell’ambito di un’operazione da 25 milioni totali.
In tutto sono 29 le imprese che hanno finora presentato domanda al Fondo. Su 22 domande già esaminate, 14 hanno avuto esito positivo, quattro sono state respinte, una ha avuto esito positivo ma non è stata finalizzata, due sono sfumate per perdita dei requisiti, una è stata ritirata. A fronte di 182 milioni richiesti, l’ammontare impegnato dal Fondo è di 74 milioni se si considerano solo le operazioni ufficialmente chiuse, cifra che sale a 118 considerando tutte le domande accolte e quelle in istruttoria. Della dotazione di circa 350 restano dunque circa 230 milioni. Gli investimenti privati ammontano invece a 85,4 milioni per le operazioni già chiuse, a 95 milioni includendo quelle che hanno avuto l’ok.
Il Fondo, a fronte di un preciso programma di ristrutturazione, consente l’ingresso in minoranza dello Stato, attraverso Invitalia, in tre categorie di aziende: imprese titolari di marchi storici con oltre 20 dipendenti, società di capitali con più di 250 addetti, imprese che detengono asset strategici. In tutti e tre i casi deve trattarsi comunque di imprese in stato di difficoltà, o ai sensi degli orientamenti comunitari (e in questo caso si applica la normativa degli aiuti di Stato) o semplicemente con flussi di cassa prospettici inadeguati a far fronte alle obbligazioni.
Invitalia può entrare con un aumento di capitale al massimo di 30 milioni (soglia innalzata durante il governo
Draghi rispetto ai 10 milioni originari) e comunque in minoranza uscendo dopo al massimo 5 anni ma puó intervenire anche con investimenti in quasi equity e garanzie. Oltre a Walcor, l’unico caso in cui sono stati erogati anche contributi a fondo perduto parametrati ai dipendenti, gli altri dossier che sono già arrivati al closing ufficiale sono la Salp (infrastrutture energetiche) con 10 milioni di aumento di capitale di Invitalia in affiancamento a Friula Finanziaria, Sicamb (componenti per l’aeronautica, 6,5 milioni, con tre investitori esteri), Corneliani (tessile, 10 milioni, partnership con il fondo Investcorp), Niche Fusina Rolled Products (alluminio, 10 milioni, con Dada e Concord), Canepa (tessile, 5 milioni, coinvolto il fondo Muznich), l’ex Ideal Standard (articoli sanitari in ceramica, 7 milioni, salvata insieme a una Newco in cui figurano la Delfin di Del Vecchio e le famiglie Rossi Luciani e Zago), Conbipel (abbigliamento, 3,8 milioni, in partnership con il fondo di Singapore Grow Capital Global), Titagarth Firema (materiale rotabile, 10 milioni, con il fondo Hawk Eye), Conceria del Chienti (pellame, 4,95 milioni, con il fondo Avm).
C’è anche da dire che ci sono ancora dei punti deboli in questo strumento. La capacità di mobilitare le banche, ad esempio. Sono stati attratti fondi e family offices, internazionali e italiani, ma finora è mancata la partecipazione del sistema bancario dal quale, come ammette De Angelis, quando fu lanciato il Fondo ci si aspettava un coinvolgimento maggiore.
Cit.
Con il decreto salva Priolo possibile l’ingresso nella Isab Invitalia stringe sul dossier Pernigotti